Con l’avvento del Covid-19, tutte le aziende che commerciano con l’Asia sono state colpite dall’aumento vertiginoso dei noli marittimi. Qualcuno potrebbe pensare che il problema riguardi solo le rotte fra Asia ed Europa, ma in realtà è una situazione globale. Uno studio dell’UNCTAD (Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo) sui noli per container in partenza dal porto cinese di Shanghai mostra come questi siano aumentati vertiginosamente verso tutte le destinazioni. I motivi alla base di questi aumenti sono molteplici. Se tra febbraio e marzo 2020 il traffico da e verso la Cina ha risentito della chiusura delle imprese cinesi imposta dalle autorità, con la riapertura delle loro attività la richiesta di contenitori è aumentata.
A parte l’export cinese di mascherine e dispositivi anti-Covid, il confinamento in casa di centinaia di milioni di cittadini, non solo in Europa ma anche nel resto del mondo, ha dato un impulso fenomenale al commercio elettronico (in Italia +50,2% secondo i dati ISTAT); dato che molti dei prodotti acquistati sono realizzati in Asia (in particolare in Cina), è aumentata la richiesta di trasporti da quest’area geografica verso il resto del mondo. Tuttavia, nel medesimo periodo non vi è stato un parallelo aumento nelle importazioni cinesi, per cui si è verificato uno sbilanciamento nei flussi di contenitori che ha reso impossibile per gli operatori marittimi poter riempire i container di ritorno in Cina. Questo ha spinto gli spedizionieri ad aumentare i noli dei contenitori in partenza dalla Cina per poter coprire il rientro degli stessi vuoti.
Anche i tempi di spedizione hanno fatto le spese della situazione, non solo per la difficoltà a trovare contenitori liberi in partenza dalla Cina, ma anche perché alcuni operatori marittimi hanno cercato di coprire i costi modificando le tratte, col risultato che vi sono container che partono dalla Cina, vengono trasbordati a Singapore o altri porti dell’Asia per poi ripartire verso l’Europa. Jon Monroe, analista del settore marittimo, fa notare però che la capacità delle navi in partenza dall’Asia è molto bassa. E dove c’è capacità, la carenza sta nelle attrezzature. Deviare per esempio le navi da Yantian non fa che peggiorare le cose, perché poi fanno scalo in porti alternativi come Shanghai e Ningbo dove non trovano abbastanza attrezzature a disposizione per accogliere un numero elevato di navi.
A complicare la situazione è stato proprio il fermo al porto cinese di Yantian a giugno 2021 a causa di una ripresa di casi Covid nell’area del Guangdong, che hanno indotto Pechino a varare severe misure restrittive. La paralisi di Yantian, da cui transita un quarto delle merci scambiate tra Cina e Stati Uniti, ha aggravato la congestione nei vicini porti cinesi di Nansha e Shekou. Questo in un periodo in cui la catena degli approvvigionamenti è già sotto forte pressione per effetto della ripresa economica e della corsa delle aziende di tutto il mondo a riattivare la piena produzione e ricostituire le scorte dei magazzini.
Secondo uno studio UNCTAD, le rotte più colpite dall’aumento dei noli marittimi sono quelle fra la Cina e il Sud America (+ 443%) e fra la Cina e l’Africa occidentale. Diversi operatori stanno cercando delle alternative ai fornitori cinesi ma non è una strada semplice e talvolta nemmeno percorribile. Una vera e propria crisi globale – prosegue Monroe, – con ritardi nelle consegne dei container ovunque e costi di trasporto insostenibili.
Il rischio concreto è che questi aumenti, uniti al contestuale incremento nel costo delle materie prime, possano dare origine a spinte inflattive di cui il mercato non ha certamente bisogno.
Ma quanto durerà la congestione dei container?
Una risposta ci viene fornita da Agostino Gallozzi, past president di Confindustria Salerno e delegato all’Economia del mare: La svolta avverrà a fronte del completamento di una planetaria campagna di vaccinazioni che, consentendo le riaperture dei siti di produzione e il recupero della capacità di spesa delle popolazioni mondiali, consentirà il riequilibrio tra domanda e offerta, produzioni e consumi, su scala globale. Nel giro di sei mesi/un anno saranno disponibili nuove costruzioni navali e nuove flotte di contenitori nuovi. Tutto ciò genererà una graduale riduzione dei noli, che però non raggiungeranno il livello “bassissimo” e non remunerativo del periodo ante-covid, perché nel frattempo le linee di navigazione hanno imparato la lezione della redditività. Alcune considerazioni – in questo frangente – sono state comprese in modo molto evidente. Innanzitutto la conferma che la globalizzazione sia una realtà rispetto alla quale non si torna più indietro, ma che può funzionare solo a patto di disporre di un sistema dei trasporti marittimi e della logistica, capace di coprire le grandi distanze in modo efficiente e competitivo, garantendo la disponibilità di un reticolo complesso di interconnessioni pluridirezionali che, attraverso un insieme adeguato di gateways portuali, traguardi l’integrazione tra le reti lunghe delle rotte d’oltre mare e le reti brevi terrestri, della distribuzione territoriale. Sebbene molto complicato e forse improbabile almeno nel breve periodo, perché rispondente ad una logica di libero mercato, andrebbero meglio analizzate le conseguenze delle grandi concentrazioni in materia trasportistica, inclusa la corsa al gigantismo navale, all’acquisizione dei terminal portuali, delle aziende del trasporto terrestre e delle spedizioni. Le grandi concentrazioni infatti, se da un lato possono assicurare una maggiore efficienza gestionale e operativa legata alle economie di scala, dall’altro possono essere la via che conduce ad una distorsione proprio del libero scambio.
Per quanto concerne il nostro Paese – prosegue Gallozzi – Occorre rinforzare lo standing di un’Italia grande Paese manifatturiero delle produzioni di qualità, rese competitive nel mondo, grazie anche al vantaggio logistico della propria posizione nel Mediterraneo, sulle rotte dell’interscambio tra est ed ovest. Una “visione-Paese” export oriented, a forte vocazione internazionale, che attiene anche al comparto turistico orientato, allo stesso modo, verso i mercati del mondo. Su questa visione dovranno essere rese coerenti e omogenee tutte le iniziative da attivare: politica industriale, politiche del lavoro, formazione dei giovani all’internazionalizzazione, accompagnamento istituzionale, up grading infrastrutturale, solo per citarne alcune. Se queste sono le possibili ambizioni strategiche del nostro Paese, risulta evidente la assoluta centralità del suo sistema infrastrutturale e portuale, che va costantemente riallineato alle veloci dinamiche evolutive del mondo dello shipping, così da essere il più potente e competitivo gateway verso i mercati della globalizzazione. Ma è innanzitutto necessario modificare quello che possiamo definire lo status culturale della pubblica amministrazione, perché i tempi di realizzazione e di adeguamento sono da troppo tempo dissonanti rispetto alla velocità con cui si muovono gli altri Paesi e rispetto a quanto accade nel mondo.
Source:
UNCTAD – calculations, based on data from Clarksons Research, Shipping Intelligence Network Time Series
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